51 geni per prevedere la sopravvivenza al cancro al seno
Giovedì 11 Giugno 2009 12:03

Le pazienti con il cancro al seno potranno sapere se hanno buone possibilità di guarire dalla malattia, oppure se avranno necessità di cure e trattamenti più intensivi. Un set di 51 geni potrebbe dare informazioni sufficienti sulla prognosi di ogni paziente. La ricerca, presentata all'Accademia di Sahlgrenska, Università di Gothenburg, Svezia, ha permesso di individuare un gruppo di geni la cui espressione può permettere di prevedere il livello di trattamento necessario per ogni paziente. "Molti pazienti con il cancro al seno attualmente ricevono più cure di quelle necessarie, mentre altri non ne ricevono abbastanza" ha detto Elin Karlsson, ricercatrice a capo dello studio. "Distinguere i pazienti che hanno una migliore prognosi eviterebbe di sprecare tempo e risorse per cure non necessarie. Allo stesso tempo, i pazienti che hanno una prognosi sfavorevole potrebbero essere identificati prima e ricevere maggiori trattamenti". Il gruppo di ricerca ha analizzato dei campioni di tessuto tumorale provenienti da pazienti affetti da cancro al seno. I campioni analizzati provenivano sia da pazienti morti per la malattia, sia da altri che erano sopravvissuti a più di 10 anni dalla diagnosi del tumore. "Abbiamo riscontrato delle differenze tra i due gruppi nell'espressione di 51 geni particolari" spiega la Karlsson. "E' possibile utilizzare queste differenze genetiche per dividere i pazienti in due gruppi, uno a prognosi favorevole, l'altro a prognosi sfavorevole, ed assegnare a ciascuno la corretta dose di cure necessarie". La stessa ricerca ha individuato un altro fattore che può aiutare nella previsione del trattamento del cancro al seno: una proteina di nome BTG2. Già conosciuta per essere un soppressore dei tumori, diversi livelli della proteina sono stati trovati nei pazienti a seconda della loro capacità di sopravvivenza al tumore al seno. I pazienti che erano sopravvissuti almeno 5 anni dopo la diagnosi avevano una maggiore quantità di BTG2 rispetto agli altri. "Ulteriori ricerche sono necessarie, ma pensiamo che anche BTG2 può essere un segnale per prevedere quali pazienti avranno bisogno di maggiore sorveglianza" ha aggiunto la Karlsson.

 












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