A Trieste il petrolio lo trovano ascoltando
Scritto da Emanuele Perugini   
Martedì 01 Settembre 2009 13:40

I giacimenti petroliferi “parlano”, basta mettersi in ascolto. Ma la chiave di lettura non è immediata, né di facilissima acquisizione. Ecco perché la maggiore società geofisica mondiale, la Society of Exploration Geophysicists (SEG) che riunisce i più esperti geofisici in campo petrolifero e ambientale, ha incaricato Aldo Vesnaver, Dirigente di Ricerca dell’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale di Trieste, di tenere un ciclo di venti lezioni itineranti dedicate all’aggiornamento scientifico di professionisti del settore in Europa e negli Stati dell’Ex Unione Sovietica, ma anche –in alcuni casi come accadrà a Pisa– di studenti universitari.

Le venti conferenze intitolate “Parlare e ascoltare i giacimenti petroliferi: monitoraggio della produzione mediante sismica attiva e passiva” inizieranno nei primi due mesi del 2010 e proseguiranno nel bimestre giugno/luglio. Nel corso delle lezioni Vesnaver, che in OGS afferisce al Centro di Ricerche Sismologiche, approfondirà temi di base quali la sismica attiva e passiva (che si basa sulla misurazione del rumore sismico naturale del sottosuolo) e porterà esempi concreti di possibili applicazioni in ambito petrolifero e ambientale.

“L’aspetto stimolante del ciclo di conferenze previste per l’anno prossimo – spiega Aldo Vesnaver, che ha ottenuto dalla SEG un’ulteriore conferma del proprio valore con la Lifetime Membership, l’iscrizione vitalizia ad honorem alla Società – è la presenza di un uditorio altamente qualificato di esperti, per i quali tuttavia l’aggiornamento e l’approfondimento di particolari aspetti di sismica è fondamentale. Per questo motivo, focalizzerò parte delle lezioni in programma su casi concreti”.

Casi scuola, con cui le compagnie petrolifere devono confrontarsi quotidianamente. “Uno dei problemi più banali è il seguente” esemplifica il ricercatore. “Per far sì che il greggio esca dal sottosuolo è necessario iniettare acqua di mare in pozzi secondari spingendo in tal modo il petrolio a risalire attraverso i pozzi di estrazione. Esercitando questo tipo di pressione, però, si producono nel terreno terremoti impercettibili per un essere umano, che gli strumenti registrano senza difficoltà. Dalle registrazioni si può controllare il processo di estrazione, evitando di insistere se la risposta del terreno lo sconsiglia”. Disporre di conoscenze approfondite e saper padroneggiare una simile tecnologia è importante anche dal punto di vista delle politiche economiche. “Basta ricordare la recente crisi di forniture di gas dalla Russia all’Europa attraverso l’Ucraina (2005-2006) – sottolinea Vesnaver – con la carenza di gas che ne è conseguita. Uno dei modi per evitare la scarsità di materie prime consiste proprio nella possibilità di fare scorte adeguate in anticipo e stoccare il gas, per esempio, in giacimenti dismessi. A patto che si possiedano le conoscenze per determinare la capacità recettiva del sottosuolo in modo da agire con cognizione di causa”, come è per OGS, che combina tecnologie sismologiche e sismica di esplorazione.

Una applicazione “verde” di tale tecnologia è il suo uso per lo stoccaggio di “gas serra” come l’anidride carbonica, che contribuisce al riscaldamento globale del nostro pianeta. Oggi in Italia una parte importante dell’energia elettrica viene prodotta da centrali a metano che, pur essendo molto più pulite di quelle a carbone, rilasciano comunque una grande quantità di CO2 nell’atmosfera. In base a Direttive già approvate dall’Unione Europea, una parte significativa di tale “gas serra” dovrà essere catturata e re-immessa nel sottosuolo. Tale operazione ambientale, per essere efficiente e sicura, potrà giovarsi delle nuove tecnologie sviluppate in OGS.

La “missione educativa” di OGS rappresenta per l’Istituto anche un’occasione per rafforzare legami e collaborazioni internazionali. L’Istituto sta infatti lanciando un progetto internazionale fruibile dalle compagnie petrolifere. Queste ultime sono interessate non solo a migliorare la produzione di idrocarburi ma anche, fortunatamente, a ridurne l’impatto ambientale. Non a caso, forti investimenti al riguardo sono sostenuti non solo dalle maggiori compagnie europee e americane, ma anche dall’OPEC.

 












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