Elaborata una mappa dei fondali italiani a rischio tsunami
Scritto da Cristina Serra Ufficio Stampa Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale   
Mercoledì 06 Maggio 2009 17:29

Si è conclusa il 20 aprile scorso, dopo tre settimane di intensa navigazione a bordo della nave OGS Explora, la campagna oceanografica MaGIC OGS 0409, che ha impegnato nel Mar Ionio settentrionale fino al Golfo di Taranto sei ricercatori dell’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale – OGS di Trieste assieme a colleghi di altri Istituti italiani. La missione rientrava nel progetto quinquennale MaGIC (Marine Geohazards along the Italian Coasts, 2007-2012), finanziato dal Dipartimento della Protezione Civile Italiana e realizzato grazie alla collaborazione dell’intera comunità scientifica italiana attiva nel settore della geologia marina. Quattro i partner principali - OGS, CNR (con gli istituti IGAG, ISMAR, IAMC), l’Università di Roma/IGAG in veste di coordinatore generale e CONISMA – coinvolti con l’obiettivo di monitorare le coste italiane a rischio geologico: frane sottomarine, sismicità e tsunami. Il progetto è iniziato nel 2007 con una prima individuazione delle aree a maggiore pericolosità della costa calabra. La missione appena terminata ha invece acquisito nuovi dati geofisici su specifiche zone di fondomare, principalmente nel margine pugliese, per stimare quali sono “le aree di criticità” delle coste di Puglia e Calabria, e individuare i siti in cui vi è una concreta possibilità che processi geologici in grado di deformare e/o erodere il fondale del margine della piattaforma continentale, risalite o espulsione di fluidi, frane sottomarine e faglie possano essere all’origine di tsunami e/o terremoti potenzialmente devastanti per un profilo costiero così densamente abitato come quello italiano.

“L’area che abbiamo studiato – spiega Silvia Ceramicola, ricercatore OGS e responsabile scientifico della spedizione - va da Torre Pali fino a Taranto sul versante pugliese, e da Scanzano Jonico fino al Golfo di Squillace sul versante calabro-lucano, coprendo una superficie di circa 7500 km2. In questo mese di indagini sottomarine abbiamo rilevato morfologie caratteristiche di diversi ambienti marini, alcune delle quali mai osservate prima o di cui si aveva solo un vago sospetto”. Ciò è stato possibile grazie ai metodi di indagine ad alta sensibilità impiegati, come l’ecoscandaglio multifascio. “Si tratta di una tecnica che si basa sull’invio di un treno di impulsi acustici sul fondo del mare seguito dal successivo recupero delle eco di ritorno, che nel complesso formano quella che in termine tecnico si chiama una “spazzata” di segnali trasversale alla nave. In tal modo si disegna la batimetria, cioè il profilo del fondale marino” ha precisato Andrea Cova, capo missione della spedizione e tecnologo in OGS. Una prima scoperta biologica ha riguardato la costa pugliese: “A largo di questa costa – dice Ceramicola - sono stati identificati banchi carbonatici molto probabilmente costituiti da coralli bianchi già individuati a Santa Maria di Leuca, che si pensava non esistessero più. Si tratta di ecosistemi delicati che si sviluppano solo con temperature e nutrienti particolari. Non sono direttamente correlati a condizioni di criticità del fondale, ma piuttosto rappresentano zone da evitare se si ipotizza, per esempio, di posare sul fondale marino pipeline od opere varie. Vanno evitati sia perché si tratta di strutture intrinsecamente fragili, sia perché preziose in termini di biodiversità”.

Una seconda serie di scoperte riguarda una grossa frana nel versante apulo, depositi sedimentari tipici di correnti di fondo, piccole frane e zone di collassamenti minori. “Il risultato di maggior rilievo di questa prima parte degli studi è stata l’acquisizione di dati ad altissima risoluzione sui giganteschi canyon sottomarini che si sviluppano per decine di chilometri arrivando, in alcuni casi, a poche decine di metri dalla costa, come per esempio le strutture che occupano il Golfo di Squillace. Questi canyon sono in retrogressione, cioè stanno arretrando lentamente e si fratturano, un comportamento che va tenuto sotto controllo quanto più vicino alla costa si verifica”. Si è inoltre avuta la prova che alcuni rilievi identificati in precedenza sono vulcani di fango, uno dei quali – di fronte a Crotone – è risultato attivo e si è “esibito” in uno sbuffo di gas proprio durante i rilevamenti. “Abbiamo infine identificato frane a vari stadi di attività, strati piegati con inclinazioni improbabili, troncati, erosi, faglie da cui esce gas” dice ancora Ceramicola. “Ma siamo solo all’inizio: lo studio è destinato a durare quattro anni ancora. Fortunatamente, grazie anche alle condizioni meteorologiche ottimali, la qualità dei dati ecometrici raccolti è stata ottima e le informazioni geofisiche registrate sono state elaborate a bordo da speciali software che permettono di osservare in tempo reale la batimetria e le sezioni acustiche del fondale marino su cui si naviga”.

Le mappe batimetriche così realizzate sono le prime di una serie di 72 mappe in scala 1:50.000, che assieme ad altre carte tematiche formeranno la Carta degli Elementi di Pericolosità dei Fondali Marini, strumento conoscitivo di cui il Dipartimento della Protezione Civile si servirà per gestire il rischio territoriale legato alla presenza, in Italia, di aree marine geologicamente complesse e ancora in parte sconosciute.

 












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