La signora Roberta Sibaud, malata di Sclerosi Multipla, ha le ore contate: scade oggi, giovedì 7 maggio, il termine delle sfratto comunicato dall’ufficiale giudiziario. Lei, nuda proprietaria dell’appartamento, costretta sulla sedia a rotelle, è stata riconosciuta dal tribunale ‘occupante abusiva’. La sua è una di quelle storie che sembrano scritte per un film. Anni fa, avendo necessità di assistenza continua, con il marito decide di cambiar casa: vendono l’appartamento che possiedono in comunione dei beni e ne acquistano uno più grande nei pressi di piazza Bologna. Una camera in più, per consentirle di ospitare una badante fissa, e poi i lavori dappertutto: le porte più larghe, il bagno, l’allargamento dell’ascensore condominiale, lo scivolo per disabili all’ingresso. “Quella casa – racconta la signora Sibaud – è stata tutta modificata intorno alle mie esigenze. Qualche volta è stato anche difficile, perché bisognava convincere gli altri condomini, per non dire delle spese. Ma è andato tutto bene, fin quando non ho commesso lo sbaglio di prendere in casa una badante ucraina. Adesso io sono sola, con una nuova badante filippina, mi vedo cacciata da questa casa e anche costretta a pagare una ingente somma a titolo di risarcimento per il mancato usufrutto della casa, mentre mio marito e la ex badante vivono insieme in una casa di sua proprietà. A causa di questa situazione, la mia sola pensione di invalidità non mi consente di accedere a soluzioni abitative adeguate al mio stato di salute e alle mie difficoltà motorie.”
Il marito dunque la tradisce in casa, nel letto coniugale, con la badante. Da qui nascono la separazione ed i problemi conseguenti: l’uomo infatti figura nell’atto d’acquisto come usufruttuario della casa, nonostante la proprietà esclusiva della moglie: dunque ha diritto a viverci vita natural durante. “Ho chiesto al tribunale che mi venisse assegnata la casa in considerazione della mia disabilità – racconta la signora Sibaud – ma il giudice non ha potuto pronunciarsi in quanto non ci sono figli, che io, sia a causa della malattia e soprattutto la mancanza di volontà di avere dei figli da parte di mio marito, non ho potuto avere. Di conseguenza mio marito ha potuto ottenere una sentenza che gli consente di far valere l’usufrutto della casa; l’ufficiale giudiziario è già venuto, i termini scadono oggi”. Inoltre, nonostante la sentenza di appello attribuisca al marito l’addebito nella separazione, la Corte ha confermato quanto disposto dal tribunale sull’assegnazione della casa.“In Italia – spiega l’avvocato che ha assistito la Signora nel giudizio di appello, Francesco Utzeri – vige l’art. 155quater del codice civile che dispone che il giudice tenga conto prioritariamente, nell’attribuzione della casa, del bene dei figli. Non essendoci figli, il giudice ha ritenuto di non potersi pronunciare. Alla luce dell’attuale interpretazione della giurisprudenza, la norma deve essere interpretata restrittivamente. Se il bene dei figli è prioritario, perché si tratta di una parte debole, bisognerebbe, tuttavia, se non ‘prioritariamente’ almeno secondariamente tener conto di altre situazioni di debolezza quali l’età avanzata, la malattia e anche la disabilità. C’è una larga corrente di pensiero che ritiene che questa norma vada interpretata in senso più ampio, tuttavia al momento non c’è giurisprudenza favorevole”.“I figli crescono e se ne vanno – conclude la signora Sibaud – la disabilità rimane per tutta la vita e nel mio caso purtroppo peggiora; non voglio dire che la decisione del giudice sia ingiusta, tuttavia di certo non prende nella dovuta considerazione le mie condizioni fisiche, economiche ed il danno che un cambio di casa arrecherebbe alla mia vita e alla mia libertà personale. In qualunque altra casa non specificamente studiata, io sarò ostaggio delle barriere architettoniche”. |