OGS e Ispra hanno creato un sistema per vedere come sono cambiati gli stock ittici nel tempo E-mail
Scritto da Cristina Serra (OGS)   
Lunedì 22 Novembre 2010 13:13

Capire come sono cambiate le comunità ittiche nel Mare Adriatico ha implicazioni importanti per le politiche di conservazione e gestione delle risorse marine, oltre che per il settore ittico stesso. Ma come scoprire quali e quanti organismi abitavano il mare 200 anni fa, quanto le osservazioni scientifiche non erano quantitative? Ricercatori dell’OGS, l’Istituto nazionale di oceanografia e di geofisica sperimentale, e dell’ISPRA, Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, hanno messo a punto un metodo che consente di ricavare informazioni semi-quantitative a partire da descrizioni qualitative e aneddotiche ricavabili dal passato, dunque da fonti estremamente difficili da trattare. La ricerca è stata appena pubblicata dalla rivista PlosOne e il metodo sta ottenendo consensi in tutta la comunità di ricercatori marini coinvolti in studi sulla fauna ittica.


I dati scientifici (e come tali affidabili) più recenti relativi alle risorse ittiche in Mediterraneo coprono al massimo gli ultimi 50 anni. Perciò non permettono analisi e valutazioni sui cambiamenti e l’impatto di eventi antropici verificatisi nel lungo periodo. Al contrario, resoconti dettagliati di naturalisti risalenti all’800 sono alquanto abbondanti: interviste ai pescatori, diari di bordo, dipinti, sono fonti preziose di catalogazioni qualitative passate.
“Il problema riguarda la conversione di queste osservazioni qualitative in dati numerici” sottolinea Cosimo Solidoro, coordinatore della ricerca realizzata da Tomaso Fortibuoni e Simone Libralato dell’Ogs, assieme a Sasa Raicevich e Otello Giovanardi dell’ISPRA di Chioggia. 
Prosegue Solidoro: “Per risolvere questo problema abbiamo messo a punto un metodo che si basa sull’intercalibrazione della scale di misura utilizzate con i dati attuali e quella usata per le descrizioni qualitative effettuate nel passato.
Il punto di partenza sono state descrizioni e rapporti ricavati da archivi, musei e testi naturalisti pubblicati, i primi, addirittura nel 1818. “Un problema con cui ci siamo confrontati inizialmente è stata la nomenclatura – sottolinea Fortibuoni – perché i nomi dialettali di allora si sono persi col tempo, e non corrispondono più agli odierni”. Nonostante tutto, un primo elenco di 255 specie ittiche ha rappresentato la base di partenza. Queste sono state classificate in base a una scala quadripartita: molto rare, rare, comuni, molto comuni, e raggruppate per quarti di secolo.
“Un secondo gruppo di dati – aggiunge Fortibuoni – sono state le statistiche di sbarco ricavate dai principali mercati ittici delle aree costiere dell’Alto Adriatico per il periodo 1874-2000, relative a circa 100 specie di pesci. Qui i problemi hanno riguardato i condroitti, cioè i pesci cartilaginei come squali e razze, che venivano uniti nello stesso gruppo sulla base delle dimensioni”.
Il metodo utilizzato consiste nel confrontare le classificazioni quadriparite e le statistiche di sbarco per gli anni in cui esistono entrambe le fonti. Confrontando le distribuzioni statistiche cumulative è possibile assegnare un valore numerico a ogni classe qualitativa, e calcolare degli indici quantitativi relativi alla comunità ittica. In questo modo si ottiene una serie di ‘fotografie’ della comunità ittica anche di 200 anni fa.
I risultati ottenuti sono stati di estremo interesse. Dice Solidoro: “Abbiamo capito, e quantificato, alcuni cambiamenti a lungo termine relativi alle comunità ittiche dell’Alto Adriatico, confermando una graduale e marcata diminuzione, per esempio, dei condroitti. Queste specie, va detto, sono assai sensibili all’interferenza umana. Analoghe diminuzioni hanno interessato specie come la rana pescatrice, il merluzzo, la cernia bruna e altri ancora. Ora ci proponiamo di ampliare la finestra temporale delle analisi, in modo da creare un quadro più remoto di particolari ecosistemi marini”.

 

 












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